mercoledì 16 dicembre 2015

Frankenstein - Mary Shelley

L'amico Emilio continua a suggerirmi ottimi strani romanzi. In questo caso parliamo del capolavoro che Mary Shelley scrisse all'eà di 19 anni (e qui sento pungolar l'invidia per la precocità dell'autrice). Un'opera che naturalmente è molto lontana dagli standard horror cui siamo oggi abituati, ma che già duecento anni fa (fu pubblicato per la prima volta nel 1817) precorreva alcune tematiche ancora oggi vivissime, come i limiti della scienza, la lotta tra bene e male e soprattutto le cause del male.
I particolari prettamente splatter vengono solo accennati dall'autrice, che si limita ad evocarli con descrizioni brevi, ma che indubbiamente al pubblico dell'epoca dovettero suscitare non poco ribrezzo.
Devo dire che l'ho letto volentieri. Ho esplorato le origini di un mito, che come sempre accade è stato distorto e modificato, ma che per la sua forza e incisività ha mantenuto quasi sempre intatta la sua forza.
Il dottor Frankenstein novello Prometeo tenta di creare la vita, credendosi quasi un dio, ma poi odierà e verrà odiato dalla sua stessa creatura.
Cero che l'Ottocento doveva essere un secolo assai strano in cui vivere...


Citazioni
subito dopo la loro unione, cercarono nel piacevole clima dell'Italia, come nel cambamento di contesto e interessi legato ad ogni viaggio in quella terra di meraviglie, una sorta di ristoro per il fisico di mia madre così indebolito. (...) venni alla luce a Napoli.

Ero il loro giocattolo, il loro idolo, e qualcosa di più – il loro bambino, l'innocente e indifesa creatura venuta dal cielo per essere cresciuta nel bene ed il cui futuro percorso, felice o triste, dipendeva da loro: dal modo in cui avrebbero assolto i propri doveri nei miei confronti.

Mi sembrava che niente avrebbe mai potuto essere conosciuto a fondo.

Mio padre ritenne necessario per il completamento della mia educazione, che dovessi entrare in contatto con usi diversi da quelli del mio paese natale.

Solo chi le ha vissute personalmente può capire le seduzioni della scienza.

Se lo studio a cui ci si applica tende ad indebolire i propri affetti così come a distruggere il proprio gusto per quei semplici piaceri a null'altro mescolabili, allora quello studio è di certo illecito e senza dubbio inadeguato alla mente umana.

Se i nostri impulsi si limitassero alla fame, alla sete e al desiderio, potremmo quasi raggiungere la libertà.

Mentre leggevo comunque, mi ritrovavo a fare continui confronti coi miei stessi sentimenti e la mia condizione.

L'accrescersi della conoscenza non faceva altro che mostrarmi sempre più chiaramente quanto non fossi altro che un misero reietto.

Eppure un uomo è sempre cieco di fronte alla moltitudine di piccoli dettagli dovute alle cure attente di una donna.

Mi sento come se fossi sopravvissuto unicamente per esibire ciò che presto cesserò di essere: un miserabile spettacolo di un relitto umano, pietoso per gli altri, intollerabile per me stesso.

I compagni dell'infanzia posseggono sempre una certa influenza difficilmente ottenibile da ogni successiva amicizia.

Introduzione dell'autrice all'edizione del 1831
Una (storia)che parlasse delle misteriose pure insite nella nostra natura.
i miei pensieri e le mie meditazioni erano però vane: sentivo la vuota capacità d'invenzione che è il più grande cruccio di chi scrive, quando è il nebuloso Nulla a rispondere alle nostre ansiose invocazioni.

L'inventiva, bisogna ammetterlo con umiltà, non consiste nel creare dal vuoto, bensì dal caos.

Inventare consiste nell'abilità d'intuire le possibilità insite nel soggetto e nelle potenzialità di modellare e forgiare le idee da questo suggerite.


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